Dopo la sparata di Richard Lynn, di qualche giorno fa, “I meridionali sono meno intelligenti” ecco su La Stampa questo articolo dal titolo “Sud = studenti ignoranti”.
Lynn ne fa un discorso genetico di popolazioni e basa la sua affermazione sul QI, il quoziente d’intelligenza, La Stampa fa riferimento ad un rapporto della Fondazione Agnelli che ha analizzato lo stato della scuola su dati Ocse-Pisa..
Il discorso di Richrd Lynn ha, probabilmente, anche un fondo razzista che fa immediatamente reagire, ma, poiché il QI è in realtà un indice basato sulle conoscenze, non credo che sia molto lontano dalle conclusioni della Fondazione Agnelli.
Questa dice che, mentre la preparazione degli studenti del Nord è sostanzialmente equiparabile a quella dei coetanei in Europa, un quindicenne su tre di quelli che ogni giorno entrano nelle classi dalla Campania alla Calabria, isole comprese, non raggiunge la soglia minima delle conoscenze definita a livello internazionale. E aggiunge: un studente del Sud ha mediamente un anno e mezzo di ritardo nella preparazione rispetto a uno studente del Nord.
Un risultato drammatico sul quale lo studente non può farci molto: la pochezza della sua preparazione è condizionata unicamente dal contesto, dal semplice fato di frequentare una qualsiasi scuola del Sud.
E conclude:: «i fattori contestuali – quelli scolastici in misura maggiore di quelli regionali – giocano più delle capacità personali». In altre parole anche un genio inserito in una scuola scadente non potrà raggiungere risultati eccellenti.
Che fare? Si moltiplicheranno le ricette curative, ma non illudiamoci. Tutto resterà come prima. Per diverse generazioni almeno ancora. Quando i problemi si lasciano incancrenire e dilagare non si risolvono in breve tempo. Tutta la scuola credo che ne sia coinvolta, dalle prime classi elementari in poi.
Io di cure ne vedo una sola: la serietà e la meritocrazia. Bocciare quando bisogna bocciare e premiare i migliori studenti e i migliori insegnanti. Ma anche sostituire quelli che non sanno insegnare.
in Italia lasciare a casa gli insegnanti (una metà circa) sarebbe giusto, ma scoppierebbe la rivoluzione.
Qualcuno dei politici dovrebbe cominciare però ad avere il coraggio di prendere decisioni , impopolari ma efficaci…. Ma, destra o sinistra che sia, loro sanno fare i politici?
Non c’è dubbio, scoppierebbe la rivoluzione. Però se non si fa nulla, non si risolve mai nulla.
Perché non iniziare, ad esempio, a dare i voti agli insegnanti e su questi basare un sistema di premi e punizioni?
(PS. complimenti per i due libri)