E’ ormai da mesi che cerco di esprimere tutta la mia preoccupazione per l’escalation di violenza che permea la politica del nostro Paese e condanno i burattinai che la fomentano.
Tra le grandi firme della stampa ho trovato spesso condivisione per questa mia preoccupazione negli articoli di Gianpaolo Pansa per “Libero” e per “Il Riformista“.
Quello che segue è per Libero oggi in edicola:
“Scontri in piazza Gli studenti usati come utili idioti”
di GIAMPAOLO PANSA
“Alla cacca sulla porta di casa della Gelmini non ci avevo pensato. Nel senso che non ritenevo il ribellismo studentesco, o presunto tale, così violento da arrivare a tanto. E non mi riferisco al materiale scaricato sull’uscio del ministro, bensì al posto scelto per l’Operazione Merda. Ossia un’abitazione privata, un domicilio sacro che dovrebbe sempre restare fuori dalla battaglia politica. Confesso che è proprio il luogo ad avermi fatto rimanere di gelo. Per un complesso di motivi che adesso spiegherò. Le abitazioni private sono sempre state prese di mira dal terrorismo, soprattutto da quello rosso. Carlo Casalegno venne ucciso dalle Br sotto l’androne del palazzo dove viveva. Il direttore di “Libero” ha visto arrivare sul pianerottolo di casa uno sconosciuto armato di pistola che non voleva certo recapitargli un biglietto di auguri. Potrei continuare con gli esempi. Ma si riferiscono tutti a una criminalità ben più sanguinaria rispetto a quanto vediamo in questo autunno di battaglie sulle strade.
Mi domando il pandemonio che si sarebbe scatenato se lo stesso carico di sterco fosse stato depositato sull’uscio di Nichi Vendola, di Pierluigi Bersani, di Pierferdinado Casini o di qualche megadirettore dei giornaloni italiani. Per esempio, all’ingresso della casa di Ezio Mauro, il capo di “Repubblica”. O di Ferruccio de Bortoli, il leader del “Corriere della sera”. O anche di Gianni Riotta, il numero uno del “Il Sole24Ore”
Tra l’altro, la testata della Confindustria è l’unico quotidiano ad aver dedicato alla vicenda appena una notiziola a una colonna. Per di più spartita fra due eventi: “Sterco davanti casa Gelmini. A Roma fermo per 12 studenti”. Mentre l’occhiello di quel titoletto praticamente invisibile era di un’ipocrisia senza pari: “Università. Le proteste”. Se ci fosse andata di mezzo la signora Emma Marcegaglia, presidente di Confindustria, il sinistro Riotta avrebbe di sicuro strillato come un’aquila. Quanto è accaduto al ministro Gelmini va considerato un precedente pericoloso. Chi ci garantisce che, domani, sulla porta di casa di un altro ministro del governo Berlusconi non venga depositata una bomba? I maneggioni dello sterco in azione a Bergamo avrebbero potuto farlo senza correre nessun rischio. La casa del ministro più vilipeso d’Italia non era sorvegliata dalla questura. Per questa imperdonabile dimenticanza, gli stercorari hanno agito senza incontrare nessun ostacolo. La cronaca di “Repubblica” racconta che avevano i volti coperti da passamontagna neri e le mani difese da guanti bianchi. Si erano muniti di uno striscione contro la riforma dell’Università, poi appeso alla cancellata. Quindi hanno depositato la loro merce. E infine sono stati così arroganti da diffondere un comunicato di vittoria. Secondo “La Stampa”, diceva: “La città ospita nella sua roccaforte alta il ministro più amato da tutti gli studenti d’Italia. Noi abbiamo violato questa roccaforte e scaricato davanti a casa Gelmini la ‘naturale’ reazione alla sua riforma”. I vecchi redattori capo raccomandavano a noi pivelli di stare attenti ai dettagli di un fatto perché è lì che si nasconde il succo di una storia. E il succo dell’azione a Bergamo è abbastanza chiaro. Chi si ferma a osservare i cortei, le strade invase, le stazioni occupate e gli scontri con la polizia, non agguanta la verità nascosta dietro tutto l’ambaradan che quotidiani e tivù ci raccontano ogni giorno.
La verità da scoprire è assai peggiore del caos che tiene in scacco molte città italiane. E riguarda la natura dei gruppi che guidano i movimenti di piazza. Ho già scritto su “Libero” che siamo in presenza di un ribellismo organizzato da nuclei politici o para-politici assai diversi dagli studenti che vengono condotti in strada. Che cosa sono questi nuclei? Chi li ha costituiti? Al ministero dell’Interno forse lo sanno. Ma di certo i giornali lo ignorano. Forse perché vogliono ignorarlo. Posso ragionare da giornalista anziano? Un tempo non era così. All’inizio degli anni Settanta, quando la stagione del terrorismo era appena agli inizi, più di un giornale non rimase ad aspettare lumi dal Viminale. Mandò i suoi inviati più svelti a scoprire che cosa c’era dietro quei sussulti violenti.
Alberto Ronchey, in quel momento direttore della “Stampa”, mi spedì a Genova per capire chi fossero certi scalmanati che sembravano soltanto rapinatori da quattro soldi. Fu così che venne a galla l’esistenza di una banda politica, la 22 Ottobre, i tupamaros di Genova. Si ispirava al “Piccolo manuale del guerrigliero urbano”, scritto dal rivoluzionario brasiliano Carlos Marighella. E considerava le rapine, i sequestri e gli omicidi l’unico mezzo per abbattere il capitalismo. Davanti a un fatto violento di natura dubbia, i vecchi capi dei giornali ci dicevano: alzate il culo dalla sedia e andate a vedere di persona. Vorrei davvero che non fosse più necessario un incitamento del genere. Però la vita mi ha insegnato una verità: sapere tutto di un fatto, riduce di molto il rischio che può derivarne. Forse è bene tenerlo a mente.”
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