Però, vi prego, non facciamone un mito.

 

Nel corso della mia vita di lavoro ho avuto spesso la fortuna di incontrare  imprenditori e manager italiani e stranieri  di alto o altissimo livello, che mi hanno sempre trasmesso  immagini affascinanti del loro modo  di gestire la propria vita e la propria azienda.

Spesso  ho annotato le loro frasi o discorsi e di alcuni conservo ancora gli appunti.

Anche se non tutti hanno potuto o saputo mantenere il loro successo nel tempo, di tutti ho sempre  ritenuto importante cercar di conservare un buon ricordo con le loro parole.

E’ in questo senso che l’altro giorno mi  sono lasciato trascinare dall’emotività e ho ritenuto di partecipare alla scomparsa prematura di Steve Jobs,  pubblicando un suo pensiero.

Steve Jobs è stato un businessman dotato di grandi intuizioni e creatività e merita grande stima ed ammirazione, ma francamente mi ha stupito il clamore mediatico destato dalla sua scomparsa.

Mi pare eccessivo.

Mi riporta con i piedi per terra  l’articolo di Antonio Socci che trascrivo più sotto e che conclude queste parole: «Jobs è stato semplicemente un creativo e un grosso industriale. Non facciamone il messia. E non inventiamo miti per coprire il nostro vuoto. Credo che lui stesso, che continuava a vestire jeans e girocollo, avrebbe trovato assurda questa enfasi messianica planetaria».

Sì, credo anch’io che sia così e, se mi chiedo il perché di tanta enfasi, il cuore mi si rattrista un po’, perché penso che le nostre menti e le nostre coscienze si sono a tal punto inaridite da far diventare un mito quello che, in fondo, non è stato altro che un buon esempio di una vita di lavoro, del quale dobbiamo saper cogliere i tanti aspetti positivi ma della quale, forse, non conosciamo nemmeno tutto.

Questo l’articolo:

 “Per piangerlo ci siamo resi ridicoli” 

“È nata una nuova religione: la Chiesa catodica. Che non rivela il senso della vita, ma vi priva del senso del ridicolo. Questa chiesa si è scelta come suo (involontario) messia (provvisorio, in base ai gusti del mercato) il povero Steve Jobs. A sua insaputa. I suoi celebranti, prosternati e adoranti, sono giornalisti, intellettuali, vip di ogni genere, politici e opinionisti. I quali, non credendo più a Dio, non è che non credano in nulla, ma – come diceva Chesterton – credono a tutto.

Si sono convinti perfino che Jobs sia il messia: colui che «ha cambiato il mondo». D’altra parte nei decenni scorsi intellettuali, politici e giornalisti avevano acclamato come «salvatori dell’umanità» dei sanguinari tiranni, che avevano milioni di vittime sulla coscienza, quindi con quelli di oggi in fondo c’è un miglioramento: il buon Jobs non mai fatto male a nessuno. Ha semplicemente dato sfogo alla sua inventiva, producendo tanti aggeggi elettronici, diventando un grosso industriale e accumulando un patrimonio enorme. La sua attività di industriale  però non può spiegare lo stupefacente spettacolo di queste ore. I tg che aprono su Jobs e occupano mezzo telegiornale, tutte le catene televisive del mondo che celebrano il defunto con tonnellate di incenso, come una divinità dei nostri tempi e poi i programmi della serata che inneggiano al «grande», a colui che ha «realizzato il sogno dell’umanità». Un telegiornale ieri titolava: «E ora? Come sarà il mondo senza di lui?». Tranquilli: sarà esattamente come prima. Se l’umanità  ha superato perfino la scomparsa dell’inventore della lavatrice, ce la farà anche stavolta. Solo che della morte dell’inventore della lavatrice nessuno ha nemmeno dato notizia. Per la morte di Jobs invece siamo stati alluvionati dalle “lacrime”mediatiche.

Come si spiega? Si dice: la sua tecnologia ha cambiato le nostre abitudini. Bene. C’è qualcuno che conosce padre Eugenio Barsanti e Felice Matteucci? Non credo. Nemmeno fra giornalisti e intellettuali. Eppure hanno cambiato la vita dell’umanità forse anche più di Jobs: hanno infatti inventato e brevettato il primo motore a scoppio. Auto, moto e  quant’altro vengono da lì. Scusate se è poco: senza di loro andremmo ancora a piedi, o in bicicletta. Ma restano del tutto sconosciuti (neanche noi italiani – loro connazionali – li riconosciamo come esempio di ingegno nostrano).

Volete un altro esempio proprio nel campo dei computer e di internet? Bene. C’è un tizio che – secondo me – è stato molto più decisivo di Jobs nel rivoluzionare i nostri modi di vivere e – sorpresa! – è un italiano. Solo che nessuno lo conosce. Almeno in Italia, perché in America lo conoscono benissimo: si chiama Federico Faggin e il 19 ottobre 2010 ha ricevuto dalle mani di Barack Obama il più alto riconoscimento americano in campo scientifico, la Medaglia Nazionale per la Tecnologia e l’Innovazione. È a lui che si deve il progetto del primo microprocessore, cioè quella cosina minuscola che fa funzionare tutti i nostri computer e tutti i congegni elettronici. Incluso l’iPhone. Credo si possa dire che senza quest’invenzione non ci sarebbero né Internet, né Jobs, né Bill Gates, né Google, né Facebook, perché non ci sarebbero nemmeno i personal computer e gli smart phone. E tante altre cose. Ma in Italia resta uno sconosciuto. Non ricordo di aver mai letto un articolo su di lui (tanto meno in prima pagina) o di aver visto un programma tv che mostrasse questo vanto del genio italiano.

Un altro caso. Qualcuno conosce il dottore Albert Bruce Sabin? Molto pochi. Eppure è colui che ha realizzato il vaccino antipolio che ha liberato l’umanità (e anche il popolo italiano) dalla terribile poliomielite. Ebbene Sabin, che poteva diventare miliardario con la sua scoperta, non ne ricavò neanche un dollaro. Rinunciò infatti a brevettarla e a sfruttarla in senso  commerciale perché il prezzo del vaccino fosse alla portata di tutti. Disse: «Tanti insistevano che brevettassi il vaccino,ma non ho voluto. È il mio regalo a tutti i bambini del mondo». Sabin era ebreo e aveva avuto due nipotine uccise dalle SS: nel suo cuore c’erano i tanti innocenti che soffrivano ingiustamente.

Non vi sembra un grande? Non vi pare che abbia fatto una cosa immensa per l’umanità? Eppure alla sua morte, nel 1993, non si sono fatte paginate di giornali. Né editoriali dove si diceva che era un uomo e che aveva cambiato il mondo.  Potrei continuare con gli esempi. Ce ne sarebbero tanti. E tutti dimostrerebbero che non si spiega l’enfasi mitologica dei media, i titoli messianici e queste ovazioni planetarie per Jobs.

Il ”Corriere della sera”, per fare solo un esempio, ha dedicato – oltre all’apertura di prima pagina – otto pagine (ripeto: otto!) al decesso, peraltro annunciatissimo di Jobs. Non ha esitato – il “Corriere”- nemmeno a titolare: «A Cupertino come da Madre Teresa».  E,per non farci mancare niente, ha affidato l’editoriale a Beppe Severgnini il quale ha occupato la prima pagina del quotidiano milanese per dare al mondo due fondamentali notizie: 1) «il primo portatile l’ho acquistato vent’anni fa in California» (e chi se ne frega!); 2) «il (mio) primo computer è stato un Macintosh: ci ho scritto il primo libro»  cosa che potrebbe gravare sulla coscienza di Jobs come un macigno).

Perfino i giornali di sinistra hanno partecipato alla devota processione con i turiboli per la mitizzazione di Jobs, sebbene sia un simbolo del grande capitalismo. “Il Manifesto”gli ha dedicato l’apertura e un editoriale laudatorio intitolato: «Un borghese rivoluzionario». E un altro titolo che (letto su un giornale comunista) fa un po’ ridere: «Il morso dell’utopia». Di questo passo rischiano di mitizzare pure Berlusconi.

Anche “Avvenire” – il giornale dei vescovi – ha dedicato a Jobs un articolo (con foto) in prima e all’interno addirittura quattro pagine. Che francamente lasciano un po’ perplessi considerato che ci sono tantissimi missionari che donano la loro vita intera, fin da giovani, per assistere i più diseredati della terra, in condizioni durissime (ho presente certi lebbrosari  africani) e la loro morte non è segnalata da nessuno, nemmeno sulla stampa cattolica. Eppure credo che potrebbero testimoniare qualcosa, sulla vita e sulla morte. Penso che loro siano dei veri maestri. E la loro vita potrebbe essere più interessante e istruttiva della vicenda professionale di Jobs che in fin dei conti viene magnificato per delle massime che trasudano una certa banalità. Sentite queste: «Nella vita tutto serve», «bisogna credere in qualcosa», «quando la vita vi colpisce con una bastonata non scoraggiatevi», «nessuno vuole morire, ma alla morte nessuno è mai sfuggito». Non c’era bisogno di Jobs: questi pensieri li abbiamo già sentiti tutti da nostra nonna. Decantare queste parole come perle filosofiche rischia di farci finire nell’assurdo o nel ridicolo. Jobs è un uomo del nostro tempo. È stato un bravo inventore e un industriale di grande talento. Anche un tipo simpatico e tosto, per come ha vissuto la malattia. Ma, sinceramente, non mi pare uno che ha rivoluzionato la storia umana.

Nemmeno un filosofo.Le sole due frasi suggestive da lui pronunciate nel famoso discorso di Stanford non sono sue: sono citazioni (e lui peraltro lo dice esplicitamente). Eppure vengono citate come massime del mito Jobs. «Continuate ad aver fame. Continuate ad essere folli» è una frase del “Whole Earth Catalog” di Steward Brand. Mentre «vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo» è un pensiero della spiritualità monastica cristiana che Jobs lesse a 17 anni in forma di battuta umoristica: «Se vivrete ogni giorno come se fosse l’ultimo, un giorno sicuramente avrete avuto ragione».

Jobs è stato semplicemente un creativo e un grosso industriale. Non facciamone il messia. E non inventiamo miti per coprire il nostro vuoto. Credo che lui stesso, che continuava a vestire jeans e girocollo, avrebbe trovato assurda questa enfasi messianica planetaria.

E non mi pare nemmeno poi tanto balzana questa “iDomanda” e riflessione che si pone sul suo blog Christian Rocca: «I giornali celebrano la grandezza e la genialità di Jobs, con un’evidenza e un’importanza che a noi macintoshisti della prima ora imbarazza non poco. Ma di fronte a questa palese superiorità tecnologica e morale, mi chiedo come sia possibile poi che, tranne Il Foglio, nessun quotidiano italiano lavori con i computer e con i telefoni Apple. Mistero»

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13 risposte a Però, vi prego, non facciamone un mito.

  1. Tamerice ha detto:

    Ma sì, è vero… ci stavo cascando anch’io, e nel momento in cui su FB stavo scrivendo un commento nel coro mi sono sentita stupida e per fortuna, non mi sono allineata. La sera stessa ho letto su una pagina sempre di FB che poi tanto santo non era. Ancora prima che se ne andasse mi stupiva e infastidiva tutto quel clamore ed enfasi sul discorso all’università di Stanford, cose già sentite.

  2. Drilly ha detto:

    La morte di Jobs ha lasciato nel mondo questa grande commozione non per le sue opere ma per come ha affrontato la sua morte. Passo per passo. Ha saputo parlare agli studenti, al suo pubblico di esperti, è riuscito a infondere negli altri una speranza e una forza. Altri hanno fatto molto di più, certamente Sabin, ma nessuno ha avuto questa forza. Sai quanti si sarebbero abbandonati alla disperazione più profonda, si sarebbero ritirati per piangersi addosso, lui no, ha affrotato il mondo intero, ha parlato della sua malattia senza pudori con la speranza di riuscire fino alla fine di sconfiggerla. Quando ha capito che tutto era inutile ha passato il timone della sua azienda, ha dato le istruzioni perchè tutto continuasse come prima con lui, ora senza di lui. Questo è quello che mi commuove, non i suoi computer o tutte le sue invenzioni. E’ lui che mi commuove.

    • frz40 ha detto:

      Gliene va dato merito, senza dubbio. Ed è giusto che questo ti e ci commuova. Ma non è né il primo, né il solo che ha saputo farlo. E il peana degli elogi non si limita certo a questo solo aspetto. Ripeto: per quel che mi riguarda ne ho stima ed ammirazione. Ma con un po’ di distacco.

  3. frz40 ha detto:

    @ tamerice e @ drilly

    Quelli che ho citato in questo mio post “Lezioni di vita” sono altri due esempi di uomini coraggio, di grande esempio per tutti noi

  4. vincenzoanfossi ha detto:

    Scusate, mi sembra che l’articolista abbia scoperto l’acqua calda e adesso ….. tutti a cantare nel suo coro.
    Quello che voglio dire è che ogni passo fatto verso il progresso si “appoggia” sui passi fatti da altri …è sempre stato così ed è inevitabile che se ci si volgiamo indietro siano innumerevoli le fasi ed i personaggi degni di menzione: ognuno è salito sulle spale di chi l’ha preceduto.
    Nessuno è stato un Dio in terra: la natura umana è in tutti fonte di grandezza non disgiunta dalle relative miserie.
    A me non dà nessun fastidio che alla scomparsa di uno degli infiniti anelli che hanno contribuito al progresso dell’umanità si levino lodi: Jobs e l’infinita schiera di persone meritevoli che lo precedono non le possono più sentire, per i posteri… begli esempi di vite spese bene e da seguire.

  5. vincenzoanfossi ha detto:

    Eccessi? “Troppo che stroppia”? Qualcuno ne ha tratto nocumento? Ha offuscato qualcuno più meritevole? Chi siamo per giudicare la misura giusta o meno dei riconoscimenti e/o rimpianti?
    In questo caso non riesco proprio a vedere pericoli se non tanta mediocrità nei giudizi … che male c’è? Mica Job e compagni benemeriti passati a miglior vita (almeno così si usa dire) si vorranno candidare a qualche seggio importante?! Essi oramai appartengono al passato e sono transitati in questo mondo lasciando eredità positive per tutti noi. Onore a loro.
    Io, oltre agli affetti che nutro e di cui mi nutro, non lascerò traccia.

    • frz40 ha detto:

      Caro Vincenzo,

      Sono convinto che se ti chiedessi in che cosa si distingue esattamente un Apple da un normale PC IBM compatibile, tu non sapresti darmi un risposta tecnicamente convincente. E’ normale. Pochissimi saprebbero rispondere. Così come pochissimi saprebbero spiegare se e quali sono gli aspetti di superiorità di un sistema rispetto all’altro.

      Sono altrettanto convinto che molto probabilmente non sai che il primo personal computer prodotto in serie è stato il “Programma 101” dell’Olivetti nel 1965, che il primo sistema operativo universale per computer è del 1974 e si chiamava Cp/M (poi sostituito nei computer IBM compatibili dall’Ms/Dos inventato da Bill Gates nel 1980) e che è solo del 1976 vide la luce sul mercato l’ Apple 11, primo personal computer di vero successo. E’ normale.

      Probabilmente sai che la Apple è stata più volte in gravi difficoltà finanziarie, ma non sai come e su quali basi sia riuscita a tirarsi fuori dai guai. Anche questo è normale.

      Non vorrei sbagliarmi, ma penso che tu non abbia mai letto prima, per intero, il famoso discorso di Steve Jobs, all’università di Sanford, o qualche altro discorso dello stesso. Anche questo è normale.

      Di queste cose quasi tutti noi abbiamo solo sentito dire, abbiamo orecchiato. Quello che non è normale è che, di colpo, tutti siano diventati grandi esperti pronti ad inneggiare al nuovo eroe, senza sapere, nella stragrande maggioranza dei casi, di che cosa parlano. E sono sicuro che se Steve Jobs avesse tirato le cuoia a ottanta anni, molti di quelli che oggi lo plaudono se ne sarebbero disinteressati e magari, nel frattempo, avrebbero intonato ben altre musiche.

      E’ questo che mi fa incazzare.

      Non c’entra se qualcuno ne ha tratto nocumento, se ha offuscato qualcuno più meritevole o se ci son pericoli, ma è proprio la tanta mediocrità nei giudizi e la loro quantità che mi fanno pensar male. E’ l’opportunismo di chi blatera che non mi sta bene, magari proprio perché pensa a qualche seggio importante.

      Steve Jobs non è uno che ha pensato all’umanità, ma uno che ha baato soprattutto agli affari suoi, con intelligenza e creatività, e per questo di lui ho stima e rispetto, come di molti altri imprenditori come lui.

      Dei suoi improvvisati cantori, no.

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