Ho scoperto “Gli anni al contrario”, romanzo d’esordio di Nadia Terranova* (Messina, 1978) grazie a questo tweet di Christian Rocca **:
E’ “la storia – dice la presentazione – di un uomo e una donna che si amano, ma sono incapaci di sopravvivere all’utopia di un mondo da salvare. Soprattutto, sono incapaci di salvarsi”
Siamo a Messina nel 1977, il tempo è quello degli anni politici del riflusso e della lotta armata.
Lei è Aurora, secondogenita di quattro maschi e due femmine. Nell’istituto religioso dove il padre, direttore del carcere cittadino e conosciuto in città come il fascistissimo, mandava le figlie femmine a diplomarsi, le suore la indicavano come alunna modello per le ribelli e indisciplinate. Marchiata da lodi tanto antipatiche, Aurora veniva esclusa dai gruppi e dalle comunelle delle compagne. Non le piaceva il muro che le suore le avevano alzato intorno, eppure perfino a quelle condizioni si sentiva meno sola che in famiglia.
Lui è Giovanni Terzogenito di un avvocato comunista, era arrivato dopo una di quelle notti maliziose che a volte si improvvisano fra coniugi di mezza età. [..] Un bambino difficile, sottolineavano gli insegnanti, infastiditi, più che dalle sue introversioni, dalla propria incapacità di comprenderle. [..] A undici anni rubò la prima sigaretta dalla giacca del padre e cominciò a fumare conquistandosi l’ammirazione e il rispetto dei coetanei; alle medie lasciò perdere il calcio, in cui non si era mai distinto. Rubò slogan facili alla televisione e parole marxiste ai libri di casa, decise che la politica gli interessava e provò a guardare da vicino quella che faceva suo padre. Saltava la scuola per andare nella sezione dove l’avvocato era tesserato con tutti gli onori, ma trovò solo un cenacolo di vecchi signori che tutto facevano tranne che preparare la rivoluzione. Detesta quel vecchio «comunismo che odora di sconfitta», e crede nella rivoluzione.
I due si incontrano all’università, scocca la scintilla e lei rimane quasi subito incinta.
Ne consegue un matrimonio riparatore che entrambi, peraltro, desiderano onde affrancarsi dalle rispettive famiglie.
Nasce Mara, hanno una casa in miniatura pagata dai genitori, ma la vita in comune si rivela subito molto più difficile del previsto.
Lei è troppo presa dagli impegni di mamma e non riesce a dedicarsi allo studio quanto vorrebbe; lui è troppo preso dagli ideali rivoluzionari e non riesce ad essere né un buon compagno, né un buon padre.
Dopo aver fatto l’amore litigavano. Aurora non riusciva a dire a Giovanni quanto le mancava, Giovanni non riusciva a spiegarle la propria inquietudine. Avrebbe dovuto ammettere che si erano sposati senza sapere nulla di ciò che volevano, che la nascita della figlia l’aveva fatto sentire inchiodato, avrebbe dovuto raccontare le notti passate sognando di fuggire da entrambe e diventare un eroe, un vincente, e allora lei avrebbe chiesto come mai, se erano quelli i suoi sogni, aveva voluto sposarla, perché aveva desiderato Mara, e lui non avrebbe saputo risponderle, perché per quanto assurde e contraddittorie tutte queste cose erano vere, e tutte insieme.
Dirà Giovanni:
«Non abbiamo mai usato lo stesso dizionario. Parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito, ma almeno non avremmo continuato a incolparci per le nostre solitudini. Quando penso agli anni trascorsi mi sembra che siano andati tutti al contrario».
Si sgretola il matrimonio e, con l’affievolirsi del vento del riflusso, si sgretolano anche i miti e i sogni rivoluzionari. Resta solo un profondo vuoto che Giovanni cercherà di colmare nel modo sbagliato.
E qui mi fermo per non rivelare troppo.
E’ un romanzo ben scritto, breve (144 pagine) ma molto intenso. Da non perdere.
Mio gradimento quattro stelline ****.
(*) Nadia Terranova (1978) è nata a Messina e vive a Roma. Tra i suoi libri, Bruno. Il bambino che imparò a volare (Orecchio Acerbo 2012, illustrazioni di Ofra Amit) che ha vinto il Premio Napoli e il Premio Laura Orvieto ed è stato tradotto in Spagna. Collabora con «IL Magazine» e «pagina99». Questo è il suo primo romanzo.
Qui trovate un’interessante intervista con l’autrice.
(**) Christian Rocca scrive su Il Foglio di Giuliano Ferrara, Il Sole 24 ore, Vanity Fair ed è il direttore della rivista IL, inserto mensile del quotidiano Il Sole 24 Ore. Il suo blog è : “Camilloblog.it”
-.-
Memo: nella categoria Libri :
– I miei precedenti post
– La tabella di riepilogo.
– Le mie cinque stelline
L’ho appena finito pure io! Mi è piaciuto tantissimo. Una storia dure, ma mai scontata. E poi io ho vissuto quegli anni e anche l’inizio della diffusione dell’AIDS!
Sì, una storia dura, ma molto ben narrata. Mi piace che anche tu l’abbia letto. Buona serata.
Bella l’idea d un blog dedicato ai libri, la mia passione! A prestissimo 🙂
Sarà un piacere ospitare i tuoi commenti. BENVENUTA.
Bellissimo. Una storia molto amara e triste,ma narrata in modo perfetto. Grazie, concordo pienamente con le tue quattro stelline! 😘
Bene, al prossimo, allora.