Ma che studenti sono questi?

Leggo oggi questo articolo a firma Mario Giordano:

Non sono ragazzi ma nonni fuori corso”

Se questi sono studenti, io sono la reincarnazione di MarilynMonroe.

Leggo la lista dei “ragazzi” che sono saliti al Quirinale, e sinceramente rimango basito: a parte il ricercatore, che ha 42 anni, ce ne sono tre che hanno 26 anni, due che ne hanno 27, uno addirittura 28. Alla faccia dei “ragazzi”:  capisco le difficoltà d’apprendimento, la complessità della didattica, l’ostilità dei baroni. Ma a  28 anni, cari studentelli, non dovreste essere laureati almeno da un lustro? Che ci fate a giocare ancora al piccolo okkupatore? Perché continuate a studiare come riempire le piazze anziché studiare come passare gli esami? Se io fossi uno studente vero, di quelli che sgobbano sui libri e pensano a sfruttare questi anni per imparare (mica per sfilare), ebbene, avrei qualche dubbio nel farmi rappresentare da uno che a 27 o 28 anni non è ancora riuscito a completare gli studi in Scienze Politiche o in Filosofia, facoltà rispettabilissime, per carità, ma che ricordo ai miei

tempi si superavano piuttosto agilmente in quattro anni, magari pure lavorando. Per quanto mi riguarda, a 26 anni ero laureato già da due, avevo un’occupazione seppur precaria, mille lavoretti per arrotondare, una moglie

e una figlia. Se mi avessero chiesto di andare a occupare la facoltà, avrei dovuto declinare l’invito: «Non ho tempo, devo pagare l’affitto».

Sono felice che Maurizio Plini, 28 anni, iscritto a “La Sapienza”, Alessio Branciamore, 27 anni, iscritto a Scienze Politiche a Firenze o Fabio Gianfrancesco, 27 anni, iscritto a Filosofia a Roma, possano permettersi, invece, il lusso di essere abbondantemente fuori corso. Potranno sempre raccontare ai loro nipotini di essere stati ricevuti al Quirinale, magari terranno le pagine di giornale nell’album di famiglia. Tutte cose emozionanti, per carità. Ma di studiare un po’, per dire, non se ne parla proprio? Perché forse è vero che la riforma dell’università ha, come dicono, qualche difetto: ma prima di promuovere la rivolta, non potrebbero provare a farsi promuovere loro? Almeno qualche volta? Conosco l’obiezione: la difficoltà di trovare lavoro, il mercato occupazionale bloccato, la crisi economica, la facoltà come lungo parcheggio in attesa di tempi migliori. Ma nell’attesa dei tempi migliori, dico io, non ci si potrebbe portare avanti con il lavoro magari prendendo la sospirata laurea? Ad essere sinceri a 28 anni, con un buon impegno, uno riuscirebbe anche a portarne a casa due di lauree.

E allora, visto che parliamo di prospettive per il futuro: chi avrà più prospettive sul mercato sul lavoro? Uno che a 28 anni è riuscito a ottenere due lauree o uno che a 28 anni bivacca ancora fra aula studenti e biblioteca fingendo di studiare, in attesa della rivoluzione? Gliel’hanno chiesto, questo, al presidente Napolitano?

Gli studenti, giustamente, si ribellano contro le gerontocrazie nel nostro Paese. Ironizzano spesso contro una classe politica in cui i “giovani delfini” sfiorano i 60 anni. Perfetto. Ma è logico che poi si facciano rappresentare da un ricercatore 42enne e da un fuori corso 28enne? E da due 27enni bivaccatori di facoltà? Dicono che, nella scelta della delegazione, sono state seguite le logiche di appartenenza delle varie sigle: Link, Uniriot, Udu, Rete 29 aprile, etc. Anche questo criterio è piuttosto vecchiotto, non vi pare? Perché non mandare su, anche solo a mo’ di rappresentanza, uno senza casacca? E soprattutto: perché non mandare una matricola studiosa, anziché la legione dei “nonni” universitari, finti “ragazzi” che occupano la facoltà solo perché altrimenti non saprebbero come occupare il tempo? All’uscita i “delegati” hanno detto che l’incontro con il presidente della Repubblica li ha resi felici perché così «è stato colmato il distacco dalle istituzioni». Perfetto, no? Adesso non resta loro che colmare il distacco con i libri e poi siamo a posto

L’ho notato anch’io.

Sarà che a 26 anni avevo anch’io una moglie e un lavoro, ma mi chiedevo proprio che tipo di studenti fossero quelli. Vedo tra di loro tanta gente con la barba: farà anche figo, ma è già segno di qualcosa da nascondere per non mostrar la faccia, qualcosa di cui vergognarsi.

Si chiede Mario Giordano chi avrà più prospettive sul mercato sul lavoro? La risposta è facile: nessuno. Ma a quelli del lavoro che glie ne frega: nulla. E’ la carriera politica che gli sta a cuore.

E gli apriranno le braccia i tettaioli che come dice Gianpaolo Pansa in altra parte dello stesso quotidiano, col suo “Il partito degli asini” , non si accorgono “di mettersi in ginocchio davanti a gente che odia il mondo al quale appartengono. – e aggiunge – Lo stesso errore fa una quota robusta della carta stampata. Capisco che certi direttori vogliano la morte del Caimano. Ma dovrebbero avere più rispetto della verità. E non raccontare ai lettori la favola dei giovani che vanno ascoltati, perché sono il nostro futuro, perché da loro dipende la democrazia italiana”.

Il disagio dei giovani è vero e reale. Ed ha radici profonde, che vengono da lontano. E non è con la mentalità dei bivaccatori e dei tettaioli che si risolvono i problemi.

PS- a pag. 2 trovate  l’articolo di Gianpaolo Pansa.

Foto  e articoli da “Libero” del 24 dicembre 2010

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16 risposte a Ma che studenti sono questi?

  1. Quarchedundepegi ha detto:

    L’ho letto tutto… anche se un po’ lunghetto.
    Mi sono piaciuti gli studenti attempati. Molto belli e rappresentativi!
    Il finale è giustissimo: bisognerebbe tener presente la STORIA (che insegna).

  2. Matteo Veronesi ha detto:

    Mah. Io mi sono laureato a 23 anni (per poi inanellare una lunga e inutile serie di titoli). Questo per ritrovarmi oggi con poco più di mile euro al mese e un mutuo da pagare. Tanto valeva fare il bivaccatore e l’occupatore di facoltà per qualche anno, e poi lo spazzino. Viva i cazzofacenti, in questo mondo di efficientismo ipocrita. Peraltro, la media di anni di fuori corso sfiorava, quando io ero studente, i quattro. Se la tendenza non è mutata, il campione ricevuto al Quirinale rispecchia la media degli studenti italiani. Che spesso si laureano fuori corso proprio perché devono lavorare (precariamente) per mantenersi agli studi.

    • frz40 ha detto:

      Il mutuo da pagare è stata una tua scelta. Giusta, a mio avviso, ma una tua scelta. E oltre a tutto avrai anche le imposte sulla casa da pagare. D’altra parte chi non ha mutui o la casa se l’è trovata coi soldi dei genitori, o paga un affitto. Ben pochi di quelli che lavorano si possono permettere di acquistarne una senza pagar mutui. Una volta la casa si comprava quando si andava in pensione, con i soldi della liquidazione, adesso nemmeno più con quelli.

      Ciò detto, mi pare che l’accento sia su quel «poco più di mille euro al mese». So che di fai l’insegnante. Se speravi di diventar ricco facendo quel mestiere, nobile e meritevole, peraltro, hai sbagliato strada sin dall’inizio. E’ un mestiere che ti può dar gioia, dignità, riconoscenza e rispetto se lo sai fare bene e con passione, altrimenti neppure quello. E’ da sempre così. E lo è in tutto il mondo.

      Da altro blog (questo) leggo che sostieni che «se gli insegnanti fossero pagati adeguatamente, sarebbero anche più motivati nello svolgimento del proprio lavoro, e presi sul serio da alunni e genitori. In tutti i mestieri, del resto, titoli, professionalità, retribuzione e prestigio sono strettamente interconnessi.»

      Non è così. Essere presi sul serio non è funzione dello stipendio, ma di come si fa il proprio lavoro. Da questo “come”, e solo da questo, si acquisisce credibilità. Non c’è nulla come fare svogliatamente il proprio mestiere che ti faccia apparire come un cretino agli occhi della gente. Dal canto mio ti posso aggiungere che ho sempre avuto grande stima e rispetto per chi svolge il proprio lavoro, anche il più umile, mettendoci tutta la propria passione. E questo ha un valore, ben superiore a quello dei soldi in busta paga a fine mese. Ci si può sentire falliti per mille motivi nella vita: nel lavoro, come nella famiglia ma i quattrini c’entrano poco. Quelli, al massimo, ti possono far sentire un cialtrone quando li hai guadagnati disonestamente e, la mattina, ti vien difficile guardarti ancora allo specchio.

      Bisogna poi intendersi su cosa intendi per «adeguatamente». Quale sarebbe secondo te la misura adeguata per motivarli di più? Quanti euro al mese ci vorrebbero per farli correre tutti come delle schegge? E, poi, fammi un paio di confronti. Quanto più di un operaio? Quanto più di un contadino? Quanto più di un medico? Quanto più di un impiegata o di quadro nel settore privato? E qui, checché ne dica Marisa, tieni conto delle ore e delle modalità e delle condizioni di lavoro. Il che mi porta a dire che anche tra gli insegnanti dovrebbero esserci differenziazioni molto importanti a seconda delle materie di insegnamento e del diverso impegno di lavoro che le stesse comportano. Così come, e lo ripeterò fino alla nausea, in base ai risultati che ottengono.

      Con questo attenzione: non voglio dire che non sia giusto, per tutti, cercar di migliorare lo stipendio, tanto più che la vita è sempre più costosa; ma che da questo dipenda l’impegno e la rispettabilità, no, non ci sto proprio. Non prendiamoci in giro.

      E veniamo alle tue lodi per i «cazzo facenti», tralasciando quel tuo «efficientismo ipocrita» che non so cosa voglia dire.

      Non è vero che i ragazzi di oggi «spesso si laureano fuori corso proprio perché devono lavorare (precariamente) per mantenersi agli studi».

      Quelli sono pochissimi, delle vere mosche bianche. Qualcuno c’è, come c’è sempre stato con una differenza però rispetto ad una volta: che i soldi guadagnati, allora, si versavano in famiglia. Tutti gli altri, quando fanno qualche lavoretto precario, lo fanno solo per arrotondare la paghetta che serve per mantenersi, la macchina, le serate in discoteca, le vacanze esotiche, gli abiti e gli accessori firmati e tutti gli altri vizietti. Ma i più attingono tranquillamente alle risorse di famiglia e, ora come allora, di voglia di studiare poca o niente.

      E, d’altra parte, di quella laurea presa a 28 anni e più anni, non se ne faranno nulla, come è sempre stato. Salvo a farla valere per qualche impiego statale, magari proprio quello dell’insegnante “cazzo facente”.

      Non sono studenti quelli, sono quelli che fanno studiare gli altri su come mantenerli. E se io fossi uno studente di quelli veri, di quelli che hanno ragione da vendere per questa società senza futuro, mi incazzerei come una bestia e mi vergognerei a farmi rappresentare da uno di loro.

      Buona giornata comunque a te, in questa lunga vacanza di fine anno.

  3. Matteo Veronesi ha detto:

    Normale anche l’età del ricercatore. L’età media dei ricercatori italiani è 45 anni.

  4. Matteo Veronesi ha detto:

    Dimmi qual è il lavoretto precario che permette vestiti firmati e vacanze esotiche, e lo faccio subito; anzi mollo quello fisso, che ho poco da perdere. Dimmi anche qual è, oggi, il ricco che non si guarda allo specchio perché ha vergogna di se stesso. Semmai, non si guarda allo specchio perché ha di meglio da fare. Oggi è il povero onesto che gira a testa bassa. Il ladro è stimato per la sua furbizia. Il grande ladro, intendo, il miliardario evasore, il gioielliere che dichiara diecimila euro all’anno, il tangentocrate, il bancarottiere impunito, la puttana solenne e sfrontata che poi sposa il milionario. Non certo il piccolo delinquentello di strada. Quello, semmai, è percepito come un pericolo per la società, un reietto, un rifiuto. Quante alle lunghe vacanze, senza soldi uno se le gode poco, almeno se uomo.

    • frz40 ha detto:

      Tutti i lavoretti precari permettono quelle godurie, se sono in aggiunta all’essere calzati, vestiti, mangiati e serviti, senza tirar fuori un soldo.

      Non so se tutti i ricchi sono grandi ladri, grandi evasori tangentari disonesti o ex puttane felicemente accasate (che, tra l’altro, non vedo cosa c’entrino con questo post); in ogni caso dici la stessa cosa che dico io: non è per i loro soldi che meritano stima e rispetto. Così come non è per qualche centinaio di euro in più che gli inseganti acqusirebbero (ammesso che non ne abbiano) credibilità. Quella si acquisisce col lavoro. Solo con quello!

  5. Matteo Veronesi ha detto:

    La credibilità si acquisirebbe con il duro lavoro e solo con quello? Si vede che non hai mai partecipato ad un concorso universitario. Per tua fortuna.

    • frz40 ha detto:

      Scusa, ma anche qui non so più dov’è l’asso!

      Quando parlo di conquistare credibilità col modo di svolgere il proprio lavoro, cosa c’entrano i concorsi e gli esami?

      Grazie, in ogni caso per i tuoi commenti. Avanti col prossimo 🙂

  6. Matteo Veronesi ha detto:

    Scusa la petulanza. Ma a proposito del lavoretto precario che serve per togliersi gli sfizi quando uno ha già chi gli fornisce l’indispensabile per vivere, tale può essere considerato proprio l’insegnamento per buona parte delle professoresse (se non la maggiore) con il marito abbiente. E’ chiaro che quelle insegnano – bene o male, con più o meno passione – non per soldi, perché a guadagnare ci pensa il marito, o, come si dice oggi, il “compagno”. Quelle sì che il cedolino non lo guardano neanche.

    Prima, se non erro, hai chiesto quanto dovrebbe guadagnare un insegnante per essere socialmente credibile, rispettato, non una macchietta e uno zimbello, e dunque motivato. Non meno di 3000 euro al mese.

    Raddoppiamo gli stipendi, come suggeriva il grande Pietro Citati in queste pagine memorabili.

    • frz40 ha detto:

      Nessun problema per la petulanza, ma non cambiarmi le carte in tavola.

      Dov’è l’asso? Dov’è l’asso? Ecco l’asso!

      Scherzo ovviamente, ma io parlavo dei bamboccioni senza voglia di studiare, che il lavoretto precario se lo trovano per tirar di lungo, pagarsi gli sfizi e non gli studi, ed ora tu mi parli delle molte professoresse con marito abbiente (la maggioranza) che utilizzerebbero l’insegnamento quale lavoretto aggiunto, adatto
      per togliersi, a loro volta, qualche sfizio.

      Ma se di lavoretto di quel tipo si tratta cosa pretendi? Hai sbagliato proprio mestiere, amico mio.

      Vedo invece che per essere motivato a fare quel lavoretto vorresti 3.000 euro al mese. Sai che francamente non se augurarvelo? Non perché non pensi che
      molti insegnanti, quelli, per intenderci, che tu chiami missionari, non meritino di più, ma perché tutti gli altri, che “cazzo facenti” sono e ancor più ”cazzo facenti” resterebbero, altro che solo macchiette e zimbelli diverrebbero. E non ti dico a cosa penso, ma ti assicuro che lo penserebero in tanti.

  7. Matteo Veronesi ha detto:

    Te lo dico io cosa diverrebbero. “Stimati professionisti”. Come i medici che amputano la gamba sana, o dimenticano il bisturi nella pancia di un disgraziato, o prescrivono una camomilla a una ragazza che poi muore di aneurisma, o praticano una mastectomia ad una donna sana per intascare cento euro di rimborso – e sono ancora tutti al loro posto. O come i magistrati che fanno scarcerare un mafioso perché dimenticano di depositare le motivazioni della sentenza – tutti al loro posto. Dei politici non ne parliamo nemmeno. E certo non hanno problemi a mostrare la loro faccia in giro o a guardarsi allo specchio: vanno in giro in Bmw. Almeno gli insegnanti non ammazzerebbero nessuno. Anche se a volte possono essere tentati.

  8. Quarchedundepegi ha detto:

    Ho riletto tutto questo articolo e i relativi commenti. Ho trovato tutto molto interessante e istruttivo.
    Due considerazioni. La prima, che avevo dimenticato un anno fa:”Ma Napolitano riceve una delegazione di studenti NONNI senza farsi dare prima una lista dei partecipanti?”
    La seconda:”Penso, come scrissi, che la vostra lunga discussione non ci sarebbe stata se una buona parte degli italiani utilizzasse un poco (mica troppo) l’onestà, il rispetto e l’educazione”.
    Comunque non tutti i medici amputano la gamba sbagliata!

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